Agroalimentare europeo, il bilancio di Paolo De Castro

2024-04-19T11:16:44+02:0019 Aprile 2024 - 12:50|Categorie: Aperture del venerdì, in evidenza, Mercato|Tag: , , , |

Il nuovo regolamento sulle Indicazioni geografiche. Il potenziale dell’export made in Italy. La prudenza sulla carne sintetica. E l’importanza per le fiere di “superare la logica della sagra”. Intervista all’europarlamentare uscente, coordinatore del gruppo dei socialisti e democratici in commissione Agricoltura.

Di Andrea Dusio

Nella legislatura uscente del parlamento europeo, Paolo De Castro è stato coordinatore del gruppo dei socialisti e democratici in commissione Agricoltura. In questo ruolo, ha guidato un lavoro di grande importanza per la scrittura e l’approvazione del nuovo regolamento delle Ig. Che si può considerare a tutti gli effetti il risultato più significativo in sede Ue degli ultimi anni per ciò che riguarda il settore agroalimentare. Con lui tracciamo un quadro delle questioni principali che agitano il comparto alla vigilia del Cibus, con uno sguardo ai temi che accompagneranno la nuova legislatura Ue dopo le elezioni di giugno.

Partiamo da un bilancio sulla sua esperienza nell’ultima legislatura europea: quali sono i risultati più significativi ottenuti, a partire dal nuovo regolamento sulle Indicazioni geografiche?

Tra i risultati positivi c’è proprio il nuovo regolamento sulle Indicazioni geografiche. Due anni di lavoro ci hanno consentito di portare a casa un testo unico della qualità europea, che dà davvero un significativo sostegno a tutta la Dop economy, che rappresenta una fetta importante del sistema agroalimentare italiano. Parliamo infatti di 20 miliardi di euro, tra salumi, formaggi, vini, aceti e così via. Al regolamento s’accompagna un’accelerazione e un rafforzamento dei consorzi, delle tutele, sia a livello di mercato fisico che in Rete, con l’introduzione del geoblocking. Abbiamo semplificato le procedure, con la possibilità di avere tempi certi per le modifiche dei disciplinari, e fissato gli standard per il rapporto di sostenibilità. E soprattutto è stato posto uno stop definitivo alle denominazioni che, come il prosek croato, o l’aceto balsamico sloveno e cipriota, tanto avevano fatto parlare di sé.

Accanto a questo lavoro, c’è stata anche un’attività di controllo e correzione delle misure promosse dalla Commissione. Su quali dossier avete lavorato in questo senso?

Va certamente ricordato anche questo lavoro, con l’obiettivo di aggiustare o in qualche caso fermare proposte di riforma della Commissione che sono state costruite contro il mondo dell’agricoltura. Penso alla direttiva sulle emissioni industriali, da cui siamo riusciti ad escludere almeno i bovini. Spero che, trattandosi di una direttiva, vi siano margini d’intervento che ci consentano di migliorarla a livello nazionale. Lo stesso abbiamo fatto per il regolamento sui fitofarmaci, anche se poi fortunatamente l’Unione Europea, attraverso la presidente Von der Leyen, ha deciso di ritirare la proposta, che comunque avevamo reso compatibile con il sistema ortofrutticolo del Sud dell’Europa.

Esiste il rischio che una parte delle produzioni agricole importate venga poi trasformata nel nostro territorio e sia assimilata così al nostro prodotto?

Facciamo l’esempio di quanto avviene con le importazioni di pomodoro cinese, che, come ha giustamente ricordato il presidente di Centromarca Francesco Mutti, se viene trasformato rischia di venire assimilato al Made in Italy. Si tratta di un fenomeno che non deve più essere tollerato in alcun modo.

Qual è la sua posizione sulla carne sintetica?

Io penso che fosse assolutamente necessario aprire un grande dibattito sull’idea della moltiplicazione cellulare. Non è una cosa banale, i nostri scienziati ci dicono che apre una serie di questioni a cui non sappiamo dare risposte. E credo che sia molto rischioso dare immediatamente a ciò che esce da questi bioreattori la patente di prodotti salubri, garantiti e in grado di evitare i problemi che la macellazione animale reca con sé. Sono molto prudente di fronte a questa narrativa, e vorrei che la scienza ci aiutasse a capire meglio come si ottengono questi prodotti, quant’è l’uso degli antibiotici, e se contengono ormoni. Il governo sta facendo bene nel cercare di costruire un sistema di alleanze ampio a livello europeo, per costruire una strada comune su di un tema che resta molto delicato e va affrontato con grande attenzione.

Cosa manca oggi perché il nostro export raggiunga i 100 miliardi di euro?

Bisogna tener conto che l’Italia è un Paese per il 75% di collina e montagna. Possiamo fare molto, aumentando la capacità produttiva agricola del nostro Paese, cercando di rafforzare con strumenti sostenibili i nostri territori, però non c’è dubbio che abbiamo una dimensione non paragonabile a Germania, Francia e Spagna, nazioni che hanno superfici coltivabili maggiori. Si può fare molto in alcuni comparti. Lo abbiamo dimostrato nel settore lattiero-caseario, dove siamo diventati quasi autosufficienti, quando sino a pochi anni fa importavamo ancora tantissimo latte dalla Germania. Siamo dunque capaci di rispondere alla domanda, nel momento in cui è di qualità e consente di pagare bene i nostri produttori ed allevatori. È possibile crescere ancora nel vino, dove pure siamo arrivati a 8 miliardi di export. Non poniamo dunque limiti all’ambizione.

Quale deve essere oggi il ruolo delle fiere?

La grande sfida per il sistema fieristico italiano è superare la logica della sagra, che pure va bene. Accanto alle tante sagre poi ci vogliono le grandi fiere a livello nazionale. E su queste si possono fare degli accordi, per riuscire a guardare alla capacità di polarizzazione che in Europa il nostro Paese possiede. Non c’è dubbio che esista un grande spazio di crescita. Dobbiamo organizzarci con delle fusioni, senza perdere il radicamento territoriale, ma aiutando le nostre imprese a penetrare nei mercati dove la loro competitività può risultare vincente.

Lei dunque saluta positivamente la sinergia tra Cibus e Tuttofood?

Saluto positivamente tutti gli accordi che possiamo fare senza perdere le identità territoriali. Si possono e devono creare sempre più sinergie: è questa la strada giusta.

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